Lorenzo, 15 anni. Dialogo numero uno. «Hai scritto un po’ poco in questo tema. Lo dice anche l’insegnante». «Ho scritto tutto quello che c’era da scrivere». «Ma come tutto quello che c’era da scrivere? Sono questioni ampie, complesse, su cui sono stati pubblicati trattati. Come fai a dire che hai scritto tutto in due colonne?». «Ho scritto tutto quello che avevo da dire io. E poi perché un tema si deve misurare per la quantità?». «Non è questo. È che bisognerebbe analizzarne i diversi aspetti e poi argomentare bene il proprio punto di vista». «Ho detto le cose per me più importanti. Non avevo altro da scrivere». Dialogo numero due. «Lorenzo, spiegami meglio, non ho ben capito perché non vuoi leggere». «Non è vero che non voglio leggere. I Manga li leggo. Sono i libri che mi annoiano». «Scusami, ci sono milioni di libri. Di generi, stili e autori diversi. Come è possibile che non te ne piaccia nessuno? Se li leggessi, magari ne scopriresti qualcuno che ti appassiona». «Intanto un po’ li ho letti. Anche perché a scuola mi obbligano. Però è proprio il libro in sé che non mi piace perché è fatto solo di parole. Le parole abbinate alle immagini rendono tutto più chiaro, coinvolgente. Con le immagini tutto ha un senso diverso, più interessante. E le cose le capisco meglio». Lorenzo non è un bambino, è un adolescente. E questo è un primo problema. Poi è maschio. E questo, senza offesa per la categoria, è un secondo problema. Ho pensato di dirgli che la lettura senza le immagini consente di fantasticare, lascia la libertà di crearsi un proprio immaginario. Ma non sarebbe servito. I ragazzi di oggi vivono in un altro mondo. Fatto prevalentemente di foto, di video, di selfie. Che ci piaccia o no, dobbiamo farci i conti. In realtà non è una questione che tocca solo gli adolescenti. Tutti ci troviamo ad affrontare la crisi della parola. La sensazione di fondo, come dice Lorenzo (e non solo lui), è che le parole annoino. La responsabilità è innanzitutto di noi adulti. Le parole le usiamo male. Siamo logorroici, enfatici, ripetitivi, predicatori. In sostanza noiosi, appunto. E spesso ci piace parlarci addosso. Dobbiamo ritrovare il senso delle parole, il piacere di parlare, di scrivere, di leggere. Per questo serve un modo nuovo, più moderno di utilizzarle. Più veloce, sintetico, chiaro. Fare riferimento a storie concrete, a fatti, a persone. Il linguaggio deve essere meno astratto, parlare di vita, di corpi. Solo così potremo forse recuperare un dialogo con le nuove generazioni. E sperare che Lorenzo e i suoi coetanei ricomincino ad aprire un libro spontaneamente, senza che glielo imponga un insegnante. Perché la passione non si accende a comando. Restituire ai ragazzi le parole significa anche aiutarli a pensare, esprimere un punto di vista, far valere le proprie ragioni. E’ un’urgenza educativa, che non possiamo più trascurare.
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