Scena uno. «Prof, oggi vengo volontario». «Vieni volontario? E a fare che?». «Come a fare che? Vengo per rimediare le insufficienze». «Scusa, hai fatto un sacco di assenze, non sei mai venuto interrogato e ti presenti ora, a fine maggio? Cosa pensi, che basti un sei per recuperare un anno in cui non hai mai fatto nulla? Scordatelo. E poi non sarebbe giusto nei confronti dei tuoi compagni che hanno sempre studiato». «Non è vero che non ho mai fatto nulla, è lei che mi ha preso di mira. Comunque il suo compito dovrebbe essere quello di valorizzare i ragazzi che cercano di migliorare. Io vo dal preside». «Vai dove ti pare». Scena due. «Prof, lo so che siamo a fine anno, ma mi è passata la voglia di studiare». «Ma che vuol dire? E’ proprio questo invece il momento in cui dovresti concentrarti. Sei un ragazzo bravo, sarebbe un peccato che sciupassi tutto alla fine». «Lo so, ma la testa mi va altrove. E’ come se non me ne importasse più nulla». «E cosa pensi di fare?». «Boh. Aspettare che mi passi». I dialoghi fra adulti e ragazzi sono straordinari. A volte è come se ci si parlasse da pianeti diversi. Ma forse è normale così e dovremmo accettarlo. Il senso delle cose non può essere uguale a quindici anni e a quarantacinque.
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