Una mamma mi chiede un incontro. Entra in presidenza, si siede, ha il volto teso. «Mio figlio non sa che sono qui, altrimenti si arrabbierebbe molto». Immagino sia capitato qualcosa di grave. Ma non è così. «Il mio ragazzo fa la terza. Sto pensando di fargli cambiare scuola il prossimo anno e vorrei sentire il suo parere». «Mi scusi, ma perché vuole trasferirlo? E’ successo qualcosa?». «Nulla di particolare. Però lo vedo giù, è silenzioso, non sta bene». «Guardi, molti adolescenti parlano poco a casa e attraversano periodi di crisi. Ha degli elementi precisi per ritenere che ci sia un problema? E che possa essere imputabile alla scuola?». «No, semplicemente ha preso dei brutti voti. E una volta, in un momento di sfogo, ha detto di non trovarsi a suo agio in classe». Apro il registro elettronico e vedo il quadro del ragazzo. Nulla di drammatico, una situazione come tante. «Signora, effettivamente suo figlio ha alcune valutazioni sotto la sufficienza, ma impegnandosi può recuperarle benissimo. E poi non è ragionevole cambiare classe in quarta, salvo che non ci siano ragioni veramente eccezionali. Con suo figlio ha parlato? Cosa ne pensa?». «Sì, ne ho parlato. Lui in realtà non ne vuole sapere. Ha detto che intende rimanere in questa scuola e in quella classe. Ma io non sono convinta». Prendo tempo. «Facciamo così. Aspettiamo la fine dell’anno scolastico e poi riparliamone di nuovo con calma. Anche con il ragazzo». La signora è più tranquilla. Ma la discussione mi lascia l’amaro in bocca. Qualcosa non torna. Un ragazzo incontra delle difficoltà a scuola, ma chiede di stare al suo posto per cercare di affrontarle. Il genitore invece no, non ce la fa. Non regge il malessere del figlio, il suo disagio. Non sa sostenerlo emotivamente, non sa dargli gli strumenti per superare il momento che sta attraversando. E non sa aspettare i tempi giusti. L’unica cosa che gli viene in mente è la fuga. Fra l’altro preparandola di nascosto, contro la volontà del ragazzo stesso. Si tratta di un piccolo episodio, un dialogo come tanti tra famiglia e scuola. Che però offre uno spaccato della nostra società, rivela quello che siamo diventati. Adulti che non si fidano dei propri figli, li tradiscono, decidono alle loro spalle, proiettano su di loro le proprie fragilità. La ricerca di soluzioni facili e illusorie è la misura della nostra incapacità. Fortunatamente non tutti gli adulti sono così. Anzi, sono la minoranza. La scuola, oggi come ieri, ha una grande responsabilità ed è bene che se la assuma fino in fondo. Deve essere il laboratorio di una società diversa, in cui, di fronte alle difficoltà, invece di fuggire, ci rimbocchiamo le maniche. Solo così possiamo sperare di avere un giorno cittadini, professionisti, politici in grado di risolvere i problemi, dei singoli e della comunità.
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