Le reazioni ai risultati elettorali sono le solite. Nonostante ci sia stato un chiaro vincitore, chi ha perso non riconosce davvero la sconfitta. I partiti del campo progressista oscillano tra negazione, rimpallo di responsabilità e psicodramma. Così succede che il PD, nonostante una strategia fallimentare, ritenga di aver fatto le cose giuste e che in fondo non è andata poi così male, considerando che è ancora il secondo partito italiano. I Cinquestelle festeggiano senza interrogarsi granché sulle ragioni che hanno prodotto il dimezzamento dei voti in cinque anni. La sinistra, divisa come sempre in mille rivoli, non nasconde una certa soddisfazione per la crisi del Pd, ma i pochi consensi che raccoglie dimostrano che forse non ha ancora capito come si rappresentano le classi più deboli nel ventunesimo secolo. Il Polo di Centro gongola per il 7%, dimenticando che il suo obiettivo era la “doppia cifra” e che il matrimonio Renzi/Calenda è nato più per convenienza che per amore. Ognuno rimane convinto delle proprie posizioni. Se poi quelle posizioni hanno prodotto la maggioranza assoluta al centrodestra, poco importa. La responsabilità è di altri.
Nel mondo dell’istruzione le cose non sono poi così diverse. Se una scuola è in crisi, è difficile che un preside faccia autocritica. Se i ragazzi non imparano, raramente un insegnante ammette che è un problema anche suo. Scattano subito i meccanismi di autodifesa: gli stipendi bassi, la burocrazia ottusa, le mancate riforme.
Per capire l’atteggiamento di politici ed educatori (non tutti, fortunatamente), forse dovremmo ripartire dalle parole di Quelo, il fantastico personaggio di Corrado Guzzanti: “La risposta è dentro di te e però è sbagliata”. Ma, se la risposta dentro di noi è sbagliata, rimane una sola cosa da fare. Cercarla fuori. Se quello che noi abbiamo pensato e fatto finora non ha funzionato, dovremmo alzare la testa dal nostro ombelico e guardare altrove. Per questo servono occhi che sappiano vedere e orecchie in grado di ascoltare. Perché alla fine il problema è nella cultura “individualista”, che in politica si potrebbe tradurre in “vocazione maggioritaria”, ovvero l’idea che una parte, che sia un partito o un insegnante, possa fare da sola perché possiede la Verità. Ma nessuno si salva da solo. Chi si chiude nelle proprie aule o nei corridoi della politica, cieco e sordo a quello che succede intorno, è destinato al fallimento.
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