ualche giorno fa abbiamo celebrato la Festa della Liberazione e tra poco faremo lo stesso con la Festa del Lavoro. Due ricorrenze fondamentali per il nostro Paese. Mi sono spesso domandato come la scuola dovrebbe onorarle. Di solito facciamo quello che è doveroso. Spieghiamo ai ragazzi le origini storiche e il loro valore attraverso documenti e testimonianze di protagonisti. Ma manca qualcosa. Manca una riflessione sul presente, manca un approfondimento sul significato che oggi hanno le idee di libertà e di lavoro. E manca una riflessione “operativa”, su quello che noi facciamo quotidianamente per garantire la libertà di tutti e per promuovere il diritto al lavoro. Anche nella scuola. La scuola dovrebbe essere il luogo della libertà. La libertà di insegnamento è scritta nella Costituzione. L’educazione, se non educa alla libertà, semplicemente non esiste. Eppure nelle scuole di libertà non ce n’è abbastanza. Gli insegnanti non sono realmente liberi di svolgere il proprio lavoro, gli studenti non sono sempre liberi di dire quello che pensano e di esprimere le proprie emozioni. Non si ha la possibilità di essere davvero quello che siamo. Per molte ragioni. Certamente a causa di una burocrazia ottusa. Ma anche per un fatto culturale. La scuola ha ancora paura della libertà. Preoccupata dall’esigenza del controllo, cerca di reprimerla in ogni modo. Se si guardano i regolamenti delle scuole, sono un elenco di tutto quello che non si può fare. Solo frasi che cominciano con il “non”. E sono in molti a credere che le scuole che funzionano sono quelle in cui regna il silenzio, dove si gira per i corridoi senza sentire volare una mosca. Agli studenti chiediamo spesso di “stare al loro posto”, “zitti e fermi”. In non pochi collegi gli insegnanti sono in difficoltà a dire quello che pensano. E in non pochi consigli i ragazzi non esprimono il loro punto di vista per timore di ritorsioni. Certo, il problema delle libertà è anche nelle nostre teste. Con l’autonomia scolastica potremmo fare molte cose, eppure tanti aspettano direttive dall’alto, circolari che dicano cosa fare. Perché la libertà è anche faticosa e presuppone la responsabilità delle proprie azioni. Il lavoro poi è sempre stato contrapposto alla scuola. «Non hai voglia di studiare, meglio che vai a lavorare». Adesso le cose sono un po’ cambiate, ma il rapporto tra scuola e lavoro è ancora oggetto di discussioni e polemiche.
Le feste della Liberazione e del Lavoro dovremmo forse celebrarle a scuola in modo diverso. Intanto recuperando un rapporto corretto con il lavoro. La scuola non è un percorso di avviamento al lavoro, è il luogo in cui creiamo le condizioni perché tutti possano avere un lavoro e una vita dignitosi. E poi provando a garantire un po’ più di libertà. Libertà di pensare, di essere. E libertà di esprimere le nostre intelligenze e le nostre passioni.
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