La storia finisce in modo sorprendente, ma inizia con una scena a cui ormai a scuola siamo abituati. Purtroppo. Ragazzi che utilizzano ripetutamente il cellulare in classe. L’insegnante se ne accorge, si arrabbia e glieli sequestra. Mentre li deposita sulla cattedra, le cade l’occhio su uno ancora acceso. Ha l’immagine di una Postepay. Chiede alla studentessa cosa diavolo stesse facendo con il cellulare. Dopo un momento di titubanza, la ragazza glielo confessa. «Ero sul web e stavo comprando un paio di scarpe». «Stavi comprando un paio di scarpe? Ma ti sembra il momento? Mentre sei a scuola ad ascoltare una lezione? Non potevi aspettare il pomeriggio?». «No, prof, non potevo aspettare». «E perché?». «Perché il prezzo sarebbe salito». L’insegnante è spiazzata, ma regge il colpo e cerca di camuffare la propria reazione. Però commette un errore fatale. Invece di ripiegare in buon ordine per riflettere sui fallimenti educativi della nostra generazione, decide di fare ancora una domanda. «Scusa, come mai sullo schermo c’è questa immagine della Postepay?». Il colpo di grazia arriva inesorabile, meritato. «Non avevo i dati della carta di credito per pagare le scarpe. Allora li ho chiesti a mia madre, che, per fare prima, mi ha mandato una foto della Postepay». L’insegnante non aggiunge più nulla. Perché davvero non c’è nulla da aggiungere. E’ tutto chiarissimo. Quando viene in presidenza per raccontarmi quello che è successo, ci guardiamo sconfortati e non sappiamo se ridere o piangere. I telefonini in classe non si dovrebbero usare, se non eccezionalmente per motivi didattici. Possiamo anche capire che gli studenti trasgrediscano la regola per giocare o scambiarsi i cuoricini. Ma se lo fanno per comprarsi un paio di scarpe, vuol dire che siamo saliti di livello. Un livello al quale noi non riusciamo ad arrivare. E’ inutile, non ce la possiamo fare. Eppure è un segnale che in qualche modo dovremmo provare ad ascoltare. Ma francamente non so se abbiamo gli strumenti per farlo. E tantomeno per intervenire. Ci viene solo da pensare che qualcosa nella relazione si è rotto e che dovremmo ricostruirlo. Assumendocene la responsabilità tutti insieme, ragazzi, genitori, insegnanti. Se i nostri studenti, e forse non solo loro, sono sempre altrove, se non riescono a connettere la mente con il corpo, se non stanno in contatto con i luoghi, le persone e le attività che fisicamente hanno intorno, qualcosa non funziona. Non funziona in loro o non funziona in quello che hanno intorno. Dovremmo capire rapidamente di cosa si tratta. Perché non ci possiamo permettere che i nostri ragazzi si interessino alla ricerca di un paio di scarpe a buon prezzo più che alla lezione di un insegnante. Davvero non ce lo possiamo permettere.
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