A scuola capitano tante storie, belle e meno belle. Anche in questi giorni, prima delle vacanze di Natale, in cui tutto sembra avere un’aria diversa. Convochiamo alcuni studenti per dare loro delle piccole borse di studio. E’ il riconoscimento della scuola a chi ha avuto le pagelle migliori nell’anno precedente. Consegniamo gli assegni e facciamo loro i complimenti. Sono grati, emozionati. I ragazzi che ottengono apprezzamenti dagli adulti hanno sempre l’aria stupita. Come se non fossero abituati, come se dagli adulti si aspettassero solo reprimende. Una ragazza diplomata, nel ricevere l’assegno, parla della sua esperienza. «Ho avuto un percorso scolastico e personale molto difficile, ma sono riuscita ad arrivare in fondo. E’ stata importante la mia determinazione, ma sono stati ancora più importanti gli insegnanti che ho avuto. Punti di riferimento fondamentali nella mia vita, mi sono sempre rimasti vicino, mi hanno incoraggiata e hanno avuto fiducia in me. Se oggi posso fare l’Università, è soprattutto grazie a loro». Sono storie che dovremmo raccontare più spesso, anche solo per ricordarci di quanto noi adulti possiamo influenzare il percorso di crescita dei ragazzi. Nella stessa giornata accadeva un altro episodio, di segno tutto diverso. Mi avvisano che alcune persone dei servizi sociali vogliono parlarmi. Le faccio entrare. Mi mostrano un provvedimento scritto e mi dicono che devono intervenire con urgenza, anche con il supporto delle forze dell’ordine, se necessario. Una studentessa deve essere portata in una struttura protetta. La faccio chiamare e mi allontano perché possano parlare tra loro in tutta riservatezza. Rimangono da soli in presidenza. Poi arriva la madre. Seguono discussioni concitate. La ragazza è scossa. Mi viene fatto capire di cosa si tratta senza entrare nei dettagli, che sono naturalmente coperti da privacy. Ma si comprende che ci troviamo di fronte ad una adolescente disorientata, abbandonata a sé stessa e che si trova esposta a situazioni di pericolo perché persone senza scrupoli potrebbero approfittare della sua condizione di fragilità e debolezza. E bisogna intervenire subito per evitarlo. Al termine di una serie di colloqui e telefonate, le assistenti sociali individuano la struttura e definiscono il da farsi. Vengono quindi da me per congedarsi. Saluto loro e la ragazza, che ricambia. Ma ha lo sguardo perso. Mentre si allontana, mi assale una profonda tristezza. Non so in quale struttura la porteranno. Non so nemmeno se noi la rivedremo o se andrà in un’altra scuola. Penso al Natale che sta arrivando, alle tavole imbandite, alle famiglie che si riuniscono in allegria. E penso al Natale che si prospetta per questa ragazza. Il suo sguardo perso mi rimane addosso. Come i tanti sguardi persi che incontriamo ogni giorno, ci ricorda che il Natale non è festa per tutti.
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