In questi giorni le scuole pubblicano i risultati degli scrutini. E si assiste alle reazioni delle famiglie. «Mio figlio è stato bocciato, ma noi non ce l’aspettavamo». «Suo figlio aveva sei insufficienze. Dovrebbe saperlo, con il registro elettronico vede i voti in tempo reale. Poi gli insegnanti mi dicono che non l’hanno mai vista». «Ma io non ho il computer. E lavoro tutto il giorno, non posso venire a scuola». Ah, ecco. Poco dopo. «Mia figlia aveva otto in inglese, ma la professoressa in pagella le ha messo sette. Ci è rimasta molto male». Mi tiene mezz’ora al telefono. Nel frattempo controllo i voti. «Signora, sua figlia non aveva otto…» Non mi fa finire. «Si prepari, faremo ricorso». Un signore si presenta di persona. «Vorrei il nulla osta per mio figlio». «Perché volete cambiare scuola?». «Gli insegnanti ce hanno con lui, risponde meglio di altri e ha voti più bassi». Non resisto. «Scusi, ma lei era presente alle interrogazioni o aveva una ricetrasmittente?». «Ma lo sanno tutti, può chiedere ai suoi compagni». Mi arrendo.
Non si può pensare che quando un ragazzo prende otto sia merito suo e quando prende quattro sia colpa dell’insegnante. Non perché la scuola sia infallibile, ma perché i ragazzi devono assumersi le responsabilità di quello che succede, nel bene o nel male. Così come non si può pensare di scappare di fronte ad un insuccesso. Qualcuno chiama “spazzaneve” i genitori che tolgono gli ostacoli dalla strada dei ragazzi. A fin di bene, naturalmente.
Fortunatamente c’è chi il bene dei figli lo interpreta in altro modo. Prima degli scrutini era venuta una mamma. «Mia figlia dovrà essere ricoverata. Vorrei sapere cosa fare nel caso in cui venisse rimandata. Ma sia chiaro, non voglio sconti. Se ritenete di rimandarla, fatelo. Deve imparare ad essere trattata come gli altri e ad affrontare le sue difficoltà».
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