Una ragazza non si sente bene. Il personale Ata la accompagna in infermeria e avvisa la famiglia. Nel frattempo se ne prende cura e mi aggiorna. «Preside, si è appena addormentata». Un’immagine di scuola che a me sembra bellissima.
Rientro dopo un impegno esterno. Mi ferma un’assistente amministrativa. «Un ragazzo è arrivato da me piangendo. L’ho fatto accomodare per rilassarsi, ma vuole parlare con lei». Lo faccio entrare. Mi racconta con garbo di una discussione molto accesa con delle compagne. È agitato, singhiozza, ma si sforza di rimanere composto. Mentre dialoghiamo, suonano alla porta le sue compagne. Chiedo se ha piacere di avere un confronto con loro. Mi dice di sì. Le faccio entrare e chiedo a tutti di spiegarsi. Ammettono di avere esagerato. Si chiariscono, ma rimangono risentimenti personali che dovranno imparare a risolvere tra loro. Li invito a mettere un punto e stringersi la mano. Lo fanno, dispiaciuti di quanto accaduto. Forse non diventeranno amici, ma in futuro si parleranno con maggiore rispetto.
Convoco un ragazzo che fa uso quotidiano di sostanze. Gli faccio delle domande, ma gli dico che non mi deve rispondere se non vuole. Lui però, incredibilmente, parla. «Come mai frequenti un certo giro di persone?». «Sono amici d’infanzia. Stare con loro mi fa piacere, ci aiutiamo anche se non sempre facciamo cose giuste». «Posso chiederti perché fai così spesso uso di marijuana?». «È un modo di rilassarmi. Mi fa stare bene e non pensare». Parliamo a lungo. Alla fine, come faccio di solito, propongo esperienze a scuola che possano offrire un piacere reale e allontanarli da quello illusorio delle sostanze. Teatro, scrittura, fotografia. È disponibile a provare e in effetti comincia. Vedremo se funzionerà.
Chiamo in presidenza uno studente-fenomeno che l’ha combinata grossa. Come tutti gli studenti fenomeni, arriva caracollando. Lo saluto, mi risponde a malapena. Ha l’aria di un attore western che si accinge a un duello. Gli ricordo quello che ha fatto. «Non ho nulla da dire», mi risponde. Gli dico che è libero di fare come crede, ma se non si assume le sue responsabilità dovremo prendere provvedimenti. «Non ho nulla da dire», ripete. «Va bene, ciao». Lo guardo uscire mentre soffia sulla sua pistola fumante. Spero che un giorno, da solo o con il nostro aiuto, trovi il coraggio di uscire dal personaggio.
Sono scene di scuola quotidiana. Tra ragazzi che parlano e altri che no.
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