In questi giorni si è aperta una accesa polemica perché Teresa Bellanova, nuovo ministro dell’Agricoltura, ha solo la terza media. Altri ministri in ruoli delicati, come Luigi Di Maio agli Esteri, non sono laureati. Come non laureati sono molti personaggi che occupano posizioni importanti nelle istituzioni, nel giornalismo, nelle imprese. Naturalmente sono nate subito le strumentalizzazioni delle varie tifoserie politiche. E altrettanto naturalmente sono proliferate sui social le solite ignobili offese dei leoni da tastiera. Ma, meschinerie umane a parte, la questione non è affatto banale.
In linea di principio, chi occupa posizioni di grandi responsabilità, dalle quali si prendono decisioni complesse, dovrebbe possedere competenze qualificate. E, sempre in linea di principio, quelle competenze dovrebbero essere acquisite in lunghi anni di studio. A scuola, all’Università, nei master, nei dottorati, nei corsi di specializzazione. Per cui è chiaro che suoni strana l’idea che chi decide le sorti del Paese abbia solo la terza media. Oltretutto tutti noi non facciamo che raccomandare ai nostri figli di studiare. «Oggi come oggi non vai da nessuna parte senza un titolo di studio. E non puoi occupare posizioni di rilievo se non hai almeno una laurea», ripetiamo. E invece no. Con un diploma, o addirittura con la terza media, puoi arrivare perfino a fare il ministro. E’ giusto? Allora possiamo dire ai nostri figli che la scuola non è necessaria?
In realtà la cosa importante dovrebbe essere che ognuno faccia bene il proprio lavoro. Poi, dove ha imparato, se a scuola, a casa, in strada, non è importante. La stessa Bellanova, con una storia personale straordinaria come bracciante e sindacalista, chiede di essere valutata solo per un aspetto: se sarà o non sarà un buon ministro. Giusto. Però, se decidiamo di andare in questa direzione, riconoscendo l’educazione non formale oltre a quella formale, dovremmo essere conseguenti e avviare una riflessione coraggiosa. Quella relativa all’abolizione del valore legale del titolo di studio. Non è accettabile che per fare alcuni concorsi siano obbligatori il diploma o la laurea e per fare il ministro, che decide della vita di tutti, non sia necessario alcun titolo. Certo, si apre una discussione difficile sulla valutazione. Chi e come decide se una persona ha le competenze giuste? Però prendiamo atto che ormai esistono percorsi di formazione differenti. E diamo valore alla nostra storia individuale, alle nostre esperienze, a quello che siamo e che sappiamo fare. La scuola e l’Università rimangono fondamentali, il percorso privilegiato per acquisire cultura, conoscenze e competenze. Ma consentiamo anche a chi segue “strade non ufficiali” di dimostrare quello che vale. Potremmo scoprire oggi buoni ministri e domani ottimi professionisti.
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