Il ragazzo è uno di quelli bravi. Agli scritti della maturità ottiene valutazioni eccellenti. Il giorno dell’orale si capisce però che qualcosa non torna. Quando tocca a lui, lo devono andare a cercare. Lo trovano seduto per terra, in un angolo. Cominciano le domande e appare subito svagato. Risponde a monosillabi e in modo impreciso, anche in discipline nelle quali è sempre andato bene. La professoressa di italiano, commissario interno, si preoccupa. «E’ successo qualcosa?». «No, nulla». Il colloquio procede. Sempre nello stesso modo. A un certo punto si rivolge così a un commissario esterno: «Questa domanda l’ha già fatta ieri a un mio compagno. La risposta la conosco solo perché l’ho ascoltata da lui». La commissione è perplessa. La docente di italiano insiste nel chiedere spiegazioni. Alla fine, il ragazzo cede: «Ieri è morto uno dei miei più cari amici in un’immersione in mare. Francamente in questo momento non mi importa nulla di questo esame. Ma non voglio sconti. Valutatemi per le risposte che ho dato». Sono passati molti anni dalla mia maturità. Oggi, da presidente di commissione, penso che dovremmo ricordare che dietro a ogni studente c’è una persona. E cercare di valorizzare entrambi.
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